Se c’è una cosa cha adoro delle serate di fine inverno è il preciso momento in cui dopo avere messo a letto Ilaria e Irene mi siedo sulla poltrona a fianco alla piccola stufa a legna, un prezioso ricordo della nonna che accendo spesso per stemperare le ultime serate fredde. Mentre mi godo l’atmosfera, ne approfitto per navigare online e andare alla ricerca dei segreti culinari e delle tradizioni che il nostro bellissimo paese nasconde.
Ho avuto la fortuna di imbattermi nel blog Tuscanypeople e con l’occasione non mi sono fatto sfuggire quattro chiacchiere con Tommaso Baldassini, vero custode dei segreti della Toscana. Mi ha raccontato orgoglioso di quanto la sua terra sia cresciuta negli ultimi anni, della sua storia artistica e popolare e di quanto la cucina toscana sia sempre più apprezzata. Incuriosito dai suoi racconti, ho deciso di partire per un weekend a Pistoia, dove mi attendeva nel pomeriggio un appuntamento davvero speciale, ma di questo ne parliamo tra poco.
Pistoia è una bellissima città con un centro storico molto antico, ricco di viottoli e proprio sotto di essi si cela la “Pistoia sotterranea”: un magico percorso sotterraneo lungo 650 metri, il più lungo della Toscana.
L’antico percorso parte dall’antico Ospedale fondato nel 1277 dai Frati del Ceppo da cui prende il nome. L’ospedale del Ceppo è stato per ben 300 anni l’unico costruito su di un corso d’acqua e proprio da apposite feritoie sul pavimento venivano lanciati nel torrente i “Butti”, suppellettili di ceramica utilizzati per somministrare le medicine ai malati ricoverati dalla peste nera.
Gli “ospedali” di un tempo fungevano anche da ricovero ed ospitavano per ogni letto fino a sei pellegrini e viandanti nonostante l’insorgere di grandi epidemie. Col passare degli anni la fama di questa struttura fu sempre maggiore, si necessitava infatti uno spazio più grande e così venne ricavato coprendo con delle volte in pietra il corso dell’acqua fino ad arrivare alla lunghezza attuale di 2 km. Ai frati che donavano sollievo agli ammalati si aggiunsero negli anni i primi medici e gli studenti che fino al 1844 frequentarono la struttura fondando poi le prime università di medicina che ai tempi non esistevano.
Non a caso nel cortile interno è possibile visitare l’antica sala Anatomica unica nel suo genere in quanto la più piccola del mondo ove gli unici 8 universitari poterono studiare intorno al 1700 le basi dell’anatomia.
A tutto questo si aggiunse sul percorso del fiume che venne poi deviato e convogliato ad un piccolo fiumicello il reparto femminile, ai tempi era molto all’avanguardia infatti vi erano in totale ben 60 posti letto, 2 medici, studenti e infermieri laici.
Deviando il torrente Brana e avendone ripulito l’argine sono stati ritrovati sul fondale numerosi reperti e bellissime ceramiche da farmacia; oggi le volte sono state completamente restaurate e rese visitabili al pubblico mentre tutt’ora scorre nei sotterranei un fiumicello che ai tempi serviva ad azionare mulini e vecchie macine di pietra. Nei sotterranei vi è tutt’ora il meccanismo del frantoio che movimentava le macine nella piazza sovrastante, il frantoio venne poi comperato dai frati per autoprodursi l’olio dei medicinali, poi vi si trovano vecchi lavatoi e il mulino utilizzato dal signor Becaccini che ha tenuto in funzione fino al 1940 la sua bottega di riparatore di attrezzi contadini.
Verso la fine del percorso passando per stretti viottoli arriviamo sotto il vecchio convento delle Suore Convertite.
Le suore infermiere avevano i loro spazi comunicanti con le corsie del reparto femminile e si occupavano anche delle mansioni della cucina: proprio da qui parte la mia continua esplorazione degli ingredienti che la tradizione e la storia nascondono. Dopo un gustoso pranzo in un tipico ristorantino toscano nel centro storico pistoiese e bevuto un buon caffè, mi aspetta un digestivo del tutto insolito in compagnia di Suor Ana con il suo “Rosolio”.
Suor Ana mi attende al Monastero delle Monache Benedettine a due passi dall’antico “Ospedale del Ceppo”, dove insieme alle Sorelle mantiene viva la tradizione del lontano 1720: il Rosolio di arance selvatiche; gli incredibili arancini canditi; tisane create con antiche erbe del Monastero e barattoli di marmellate di arance tritate che custodisco gelosamente in dispensa. Nella corte interna vi sono 12 piante di arancini selvatici adagiati alle mura che, cresciuti in completa libertà, producono ogni anno 960 kg di frutti profumatissimi di cui 40 kg vengono raccolti acerbi e dopo aver praticato con un vecchio attrezzo 50 piccoli fori cadauno, vengono immersi per un giorno intero nello zucchero trasformandoli nei canditi più grossi e saporiti mai visti prima.
Da questi fori fuoriesce per un mese intero lo zucchero insaporito e arricchito dalle proprietà degli oli essenziali di arancio. Fu ben pensato dalla Badessa dei tempi che furono di aggiungere a questo sciroppo della china, della genziana e creare così questo Rosolio dal basso tenore alcolico ma ricco di sapore. Era utilizzato come rimedio della nonna per curare l’inappetenza dei bimbi, inoltre è un alimento rinfrescante con aggiunta di acqua durante l’estate e come mi è stato consigliato da Suor Ana, è ottimo sul gelato.
Suor Ana è entrata giovanissima in questo Monastero, era l’ 11 agosto del 1998 e rimase colpita dall’enorme quantità di arance rimaste appese alle piante del giardino cresciute tra le erbe aromatiche, componenti dell’antica ricetta “Tisana alle erbe salutari” creata da Madre Carobbi, Badessa Farmacista del 900. Infatti ai tempi venivano raccolti solamente i 40 kg di frutti necessari alla produzione dei canditi e la rimanenza delle arance veniva donata o lasciata sulle piante, ragione per cui Suor Ana chiese ed ottenne il permesso per realizzare già dall’anno successivo ben 300 barattoli di Marmalade, così veniva chiamata nell’oltremanica la composta fatta solo con scorze e succo di agrumi. Ora i tempi son ben cambiati, ma all’interno dell’antica spezieria il tempo pare essersi fermato tra gli alambicchi, i vecchi cocci di ceramica e le scritte sbiadite delle bottigliette ben chiuse nell’antica credenza.
Sino a pochi anni fa il Rosolio veniva dato dalle monache di clausura a chi ne avesse avuto bisogno per curare i piccoli malanni in bottigliette esclusivamente tramite la vecchia ruota degli esposti che non permetteva alle monache il contatto col mondo esterno, essendo appunto di clausura..
Dopo aver visitato le bellissime stanze del Monastero colme di antiche foto e ricordi, ho riaperto quel portone di legno che divide il mondo esterno dai profumi e aromi di arancio intrisi nelle pareti.
Arrivato nel mio laboratorio con le mani colme di barattoli di Marmalade, bottiglie di Rosolio e arancine candite, mi sono subito messo al lavoro e ne è nato il “Gelato Benedettino” preparato con Cioccolato bianco pregiato in infusione nel Rosolio di arance selvatiche. L’infusione dura giusto il tempo di cottura dei nostri “Cantucci Toscani” preparati per l’occasione con scaglie di arancia candita, leggermente tostati e sbriciolati dentro la morbida crema gelato di cioccolato bianco.
E la “Marmalade”??
Non l’ho dimenticata! Abbiamo fatto una buonissima crostata per le colazioni della Caffelatteria mentre in Gelatteria ci gustiamo questo nuovo gelato per tutto il weekend!